Romanticismo-Storie I. Quadri nei libri

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La scrittrice e storica dell’arte Marisa Volpi ha dedicato un racconto – dal titolo Cavaliere senza destino – a Théodore Géricault, che coglie il malessere della Francia post-napoleonica attraverso la vita inquieta e l’opera dell’artista. La trasformazione e la crisi  dell’ideale neoclassico si riflette infatti nelle scelte iconografiche e nello stile di questo pittore che dipinse cavalli, fornaci, cadaveri, ritrasse gli internati nei manicomi e ricostruì nel celebre dipinto La Zattera della Medusa (1819) l’episodio dei naufraghi ammassati su una piccola zattera dopo il naufragio della nave Medusa, nel 1816, immaginando il momento in cui i sopravvissuti – dopo tredici giorni alla deriva- cercano di segnalare la propria presenza a un veliero all’orizzonte, l’Argus.
Ecco alcuni brani del racconto:

È il tempo in cui Théodore va all’obitorio per dipingere teste di suppliziati e frammenti anatomici del corpo umano, una pittura rifattasi buia come nel Seicento, densa, repellente. Immagini, odori che i sensi e la mente percepiscono, deve fermarli sulla soglia della scienza pittorica. Nelle ore libere lo sorprende il pianto. Assorto nella concezione e nell’esecuzione del grande quadro, gira tuttavia con gli amici in Normandia, in Inghilterra: il dandy che ama la caccia, le corse, i cavalli cerca di salvare il pittore la cui energia isterica è fagocitata dai naufraghi di Capo Bianco.
La Zattera della Medusa, terminata nel foyer del Théâtre de Nouveautés, arriva in agosto al Salon. Le figure si aggrappano o giacciono riverse sulla zattera, alcune sono ritratti come quello di Dastier, il negro Joseph è il segnalatore in cima alla piramide umana e il giovane abbandonato bocconi, di cui si scorge la lucida capigliatura nera, è il pittore Delacroix. Nel buio di un cielo tempestoso senza aperture d’orizzonte si protendono i corpi con la vitalità della disperazione. L’ammasso delle membra, incastrate alle travi sgangherate, comunica un brivido freddo.
La Zattera è un simbolo della Francia come scriverà Michelet? È un’accusa politica? È il pendant della Peste a Jaffa di Antoine Gros il pittore napoleonico ammirato da Géricault? E quell’Argus, la nave piccolissima all’orizzonte, è la speranza quasi invisibile nel 1819, mentre i morti e i morituri sotto una luce irreale si addossano gli uni agli altri sul fondale bluastro delle onde?
Ogni interpretazione è vera. ⌈…⌉
Quando si apre il Salon, Théodore corre ansiosamente a cercare la sua tela. È appesa troppo in alto, la prospettiva non si coglie, non si vedono le figure, tutto appare confuso.

Marisa Volpi, Cavaliere senza destino, Giunti 1993 (pp.34 e ss)

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