“Ricordo un momento passato con mio padre: lui stava aggiustando lo scarico del bagno e io, che ero seduto accanto a lui, ho raccolto gli ingranaggi di plastica da lui scartati e sostituiti, li ho assemblati, costruendo una pistola. Per un attimo, ed è quello un ricordo ancora vivido, ho avuto la sensazione di prendere coscienza della potenzialità creativa che fino ad allora non conoscevo: costruire cose usando la fantasia.”
Queste parole di Gianluca Malgeri, nato a Reggio Calabria nel 1974 e formatosi fra l’Accademia di Belle Arti di Firenze e l’Università IUAV di Venezia, introducono bene alla sua figura e alla sua attività di artista, che ha al suo attivo mostre di rilievo e articolati progetti, che intersecano la presenza del ludico, il ruolo dell’immaginazione, lo spazio della creatività nel presente.
Dal quel suo ricordo, condensato in poche righe, emergono infatti elementi ricorrenti tanto nel gioco infantile quanto nel suo lavoro: il tema della costruzione, o meglio della riconfigurazione, l’assemblaggio, il modulo, l’inventare, l’immaginare, il “fare finta che”. In molta parte della sua ricerca artistica, Malgeri gioca a ricomporre la realtà in modi inusuali e tale metodologia progettuale emerge in modo significativo in Playground Project.
Termine ricco di sfumature, il playground è il luogo all’interno del tessuto urbano solitamente dedicato ad attività ludiche e ricreative in particolar modo dell’infanzia. Insieme all’artista giapponese Arina Endo, sua collaboratrice, Malgeri compie negli anni intense ricognizioni in città diverse, documentandosi sui playground, fotografando elementi (una scala, un’altalena, uno scivolo), che vengono assemblati in collage e diventano la matrice di sculture in rame saldato.
Nel corso di queste ricerche e trasformazioni, il playground rivela nuove dimensioni, diventa uno spazio di sospensione del paesaggio-città, un luogo di sperimentazione di forme, un centro di creazione e alternative.
Il progetto nasce da intuizioni, interessi e viaggi che, dopo un periodo di gestazione, sono stati tradotti in opere esposte per la prima volta nella mostra collettiva Edge of Chaos (Expelled From Paradise) nel 2015 a Casa Donati, Venezia.
Il passaggio cruciale che dà il senso al lavoro è il processo di riconfigurazione delle strutture dei playground: i collage e poi le sculture sono infatti costruzioni impossibili, non praticabili, non a caso in occasione della mostra romana Homo Ludens nel 2015 presso la galleria Magazzino, le serie di collage e sculture prendevano il nome di Città dei Balocchi.L’interesse socio-politico di partenza è come se venisse vanificato nella forma, luoghi esistenti e destinati alla fruizione sono trasformati in costruzioni utopiche, in spazi dell’immaginazione.
La mostra citata sopra Edge of Chaos (Expelled From Paradise), curata da Vita Zaman e Nicola Vassel nel 2015,
presentava lavori di diversi artisti che rispondevano in modo creativo a temi tanto sociali come il femminismo e le disuguaglianze, quanto di ordine globale come il cambiamento climatico e la necessità di una svolta ecologica. Le sculture di Malgeri e Endo da una parte partivano dai playgrounds dall’altra prendevano ispirazione dal ciclo di dipinti dedicato ai segni zodiacali dell’artista pittore e compositore lituano Mykalojus Konstantinas Ciurlionis (1875 – 1911).
Nel ciclo dedicato allo Zodiaco, le costellazioni dei segni fedelmente riprodotte sono immerse in atmosfere oniriche popolate da architetture utopiche. Così le 12 sculture di Malgeri, 12 come i segni zodiacali, conservano il sapore della sinestesia delle arti e del sentimento panico cui auspicava Ciurlionis, e sembrano cercare un’armonia con l’Universo. Tuttavia le loro composizioni vertiginose di torri, scale infinite, scivoli vorticosi e spirali così come i castelli dei collage, in cui ogni parte sembra appoggiarsi sull’altra in equilibrio precario, sono costruite appositamente per far perdere lo sguardo nel suo tentativo di costruire un percorso, di trovare una via di uscita. Poste sul labile confine fra regola e ribaltamento di essa, divertimento e perdita del controllo, le opere esposte in Edge of Chaos (Expelled From Paradise) tracciano strade impervie e labirintiche attraverso cui ritrovare quel Paradiso dal quale, come suggerisce il nome della mostra, siamo stati espulsi.
“Quando iniziai a pensare la mostra in galleria – (Magazzino) – nel 2015, avevo da poco fatto una mostra a Venezia e avevo realizzato una specie di Città dei Balocchi, ma si trattava di una città desolata dove non c’erano i giocatori; la riflessione successiva fu di trasformare il gioco in giocatore e il giocatore in gioco”.
L’ultima tappa del Playground Project è la mostra Merry-Go-Round alla Ayumi Gallery di Tokyo del 2019. Analizzando solo il nome della mostra, espressione inglese per dire giostra, carosello, si capisce come la tematica del gioco sia ancora centrale. In questo caso i riferimenti all’architettura utopica si fanno più forti: New Babylon di Constant Nieuwenhuys, una raccolta di disegni, schizzi, maquette e modellini realizzati fra il 1959 e il 1974, ha generato un importante campo di influenza sul lavoro di Gianluca Malgeri.
Playground Project nel suo complesso può essere letto come un invito a creare nuovi sistemi di regole partendo da quelle esistenti: radicato nel luogo del gioco, il playground parte dal presupposto che l’attività ludica sia prima di tutto uno spostamento di prospettiva in quanto attività regolata da leggi indipendenti e spesso in contraddizione con quelle della società.
Con le sue architetture impossibili, si potrebbe dire che il nuovo sistema costruttivo di Malgeri sia volto all’edificazione di uno spazio immaginario, di cui è necessario prendersi cura. L’immaginazione è il nostro migliore playground, in cui l’artista invita a giocare per guardare la realtà da un’altra prospettiva.
Gaia Mancini
La versione estesa di questo articolo, arricchita di informazioni e immagini, si trova al seguente indirizzo, sempre in Art’usi.
L’immagine in apertura (courtesy Giancluca Malgeri) è Untitled, 2019 copper, soldering, paint, 150 x 160 x 110 cm