“Certo, alla fine venni travolto dalle massicce mele di Cézanne e dai piovosi boulevard di Pissarro ma, ripeto, solo perché bigiavo e avevo bisogno di un riparo in quelle gelide mattine invernali”.
Refrattario alla scuola e a tutto ciò che emanava intellettualismo, attratto dalla radio, dal cinema, dal jazz e dai giochi di prestigio, l’autore di questa frase è un giovanissimo Allan Stewart Konigsberg, che poi si sarebbe chiamato Woody Allen. Nella sua autobiografia (Apropos of Nothing, 2020), ripercorrendo all’inizio gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza – è nato nel 1935 – insiste su quanto malvolentieri frequentasse la Public School 99 di Brooklyn, ispirata ad antiquati metodi didattici, illuminati sporadicamente da qualche docente presto licenziato.
Nelle occasioni in cui riusciva a saltare le lezioni (“I would cut school”), i musei si offrivano come ripari caldi, del tutto gratuiti o a prezzi accessibili a un ragazzo.
“A quindici anni venni ammaliato da Matisse e Chagall, da Nolde, Kirchner e Schmidt-Rottluff, da Guernica e dagli immensi e caotici Pollock, dal ritratto di Beckmann e dalle nere sculture di Louise Nevelson. Pranzavo alla caffetteria del MoMA e poi scendevo nella saletta sottostante a vedere qualche classico”.
Negli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale, in una famiglia affettuosa che vive di lavoro e di espedienti, di tradizioni importate dall’Europa e di imprese più o meno riuscite, il futuro Woody Allen esplora la dimensione dell’illusione, il mondo finzionale del racconto cinematografico, la magia dello spettacolo. E da solo – nessuno lo ha mai portato prima in un museo – scopre, marinando la scuola, le avanguardie europee, il genio di Picasso e la grande pittura e scultura del dopoguerra di cui gli rimangono impressi il “frantic wall-sized Pollock” e le composizioni “dark black” della Nevelson.
Da Brooklyn, dove vive, si reca quanto più spesso può a Manhattan: in questo pendolarismo ricorda il più anziano artista Joseph Cornell, anche egli commuter fra la zona di Queens e il centro città, in cerca di cinema, teatri, musica, oggetti memorabili, diner e scorci illuminati di Manhattan.
Se si sono sfiorati, il quindicenne Woody Allen in nuce e il quasi cinquantenne Joseph Cornell (che al MoMA aveva e avrebbe esposto in diverse occasioni), è probabile sia stato nel caldo di una caffetteria di museo, davanti a una fetta di torta di ciliegie, o persi nello stato di rêverie suscitato in entrambi dal reticolo di strade newyorkesi, dove la cultura moderna si fa spazio attraversabile dai passi e dall’immaginazione.
Woody Allen, A proposito di niente. Autobiografia, (2020), traduzione di Alberto Pezzotta, La Nave di Teseo editore, Milano 2020
AS