“L’aggettivo immateriale copre un arco di significati idealmente compreso fra il tradizionale ‘spirituale’ e il contemporaneo ‘digitale’, con riferimento all’informatica e all’elettronica. Il progressivo allargamento del campo semantico è direttamente connesso, nei paesi industrializzati, alla diffusione delle nuove tecnologie, alla crescita economica dei settori della moda, del design, della finanza e, in generale, del terziario avanzato. Tali sviluppi hanno comportato, tra l’altro, lo slittamento del senso del “valore” dalla grandezza monetaria e comunque materiale, ai beni immateriali”. La citazione è tratta da un articolo della storica dell’arte Francesca Gallo, Immateriale.
Intorno a questo termine, che negli anni Ottanta del Novecento diventava via via più rilevante, il filosofo francese Jean-François Lyotard (autore, nel 1979 de La condizione postmoderna), insieme con Thierry Chaput, danno vita, nel 1985, a una esposizione sorprendente al Centre Georges Pompidou di Parigi; una mostra reticolare, una sorta di ipermedia vivibile e attraversabile, senza un percorso definito, le cui isole o nodi suggeriscono alcuni temi scabrosi del cambiamento post-moderno: la complessità e il suo essere irrappresentabile, le mutazioni del corpo, i labirinti del linguaggio, i tempi differiti. La mancanza di un unico percorso si riflette dalla mostra anche nel catalogo, che è composto di tavole indipendenti e di un album che rispecchia il work in progress dell’organizzazione del contenuti, attraverso diagrammi di flusso e collegamenti mobili fra i nodi dei percorsi.