Edouard Manet, La colazione (detta nell’atelier), 1868, olio su tela, Monaco, Neue Pinakothek
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Armi sulla poltrona
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"Perché mai quelle armi starebbero in una stanza da pranzo, la mattina?" si è chiesta la storica dell'arte Marisa Volpi e ha trovato la risposta decifrando la scena del quadro e collegandola alla tradizione che vede le armi dei cavalieri portate da un giovane scudiero (come per esempio nel dipinto "Ritratto di Alof de Wignacourt", attribuito a Caravaggio).
Il ragazzo nel quadro è ritratto la mattina del suo primo giorno di lavoro: "con aria disinvolta, la mano in tasca, sembrerebbe significare l'abbandono dell'infanzia, e con essa del ruolo di portatore cerimoniale [...] la scimitarra, l'elmo, la spada e ciò che significavano le armi per il piccolo portatore, sono lì, su una poltrona, rammentando i cavalieri armati della pittura del Seicento. Ora, per così dire, la vita tocca a lui, al ragazzo in paglietta e cravatta" (Volpi, Mistero in pieno giorno: testo disponibile su Moodle Sapienza)
Il ragazzo
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Il giovane ritratto - che aveva già fatto da modello per diversi dipinti, fra cui "Ragazzo che soffia le bolle di sapone" del 1867 - è Léon Leenhoff, figlio della futura moglie dell'artista, Suzanne, e di Auguste Manet, quindi un fratello naturale e in seguito figlio acquisito di Edouard Manet.
Nella scena dipinta, il giovane sedicenne si trova a Boulogne e sta per cominciare a lavorare come fattorino nella banca del padre di Degas.
Oggetti e vivande
Semplici oggetti quotidiani, dipinti con notazioni veloci di materia pittorica, rimandano - secondo alcune letture critiche - alla tradizione seicentesca delle Vanitas (il monito sulla condizione effimera della vita), soprattutto quando le vivande sono accanto a oggetti taglienti, quando si vedono superfici specchianti, fiori recisi, foglie.
Attraverso una pittura che sembra rapida e luminosa anche nei neri, Edouard Manet – definito “peintre-philosophe” - ha costellato i suoi dipinti di pensieri sulla vita e sull’apparenza.
La firma
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In questo dipinto, la firma di Manet è apposta sulla tovaglia; nel Bar alle Folies-Bergère (1881-82), compare su una delle bottiglie a sinistra; nel Ritratto di Zola (1868), il nome Manet spicca nel titolo dell'opuscolo che lo scrittore gli aveva dedicato. Un gioco di parole sul nome dell'artista lo vediamo nell'ex-libris del 1876: un'erma classica è disegnata in mezzo alla frase latina Manet et manebit ("Rimane e rimarrà"), dove la terza persona singolare del verbo latino si scrive nell' stesso modo (è omografa) del cognome del pittore.