“Starà al lettore, se lo vorrà, tracciare nessi ulteriori, immaginifici e personali, aiutato anche dalle fonti del seguente elenco iconografico”. Con questa Nota – stampata su una luminosa pagina gialla posta fra le 443 pagine del testo corrente e l’elenco delle 350 immagini che vi compaiono – Riccardo Falcinelli si congeda dal suo imponente lavoro sui colori, lasciando a chi lo ha letto (o lo leggerà) il compito e il piacere di aggiungere memorie, esempi, aneddoti al cromo-panorama allestito fin qui.
È un invito coerente con il metodo di questo libro, che è un racconto di “fatti storici circoscritti” che hanno avuto esiti e risonanze sulla vita quotidiana delle persone e sulla trasformazione delle culture visive, andando a costruire anche il nostro attuale sguardo su un mondo pieno di colori assortiti e pervasivi.
Un racconto che – da tante angolature diverse e connesse – ribadisce il convincimento empirico e teorico che il colore è un fenomeno di relazione.
Che lo si affronti dal punto di vista della percezione o della nomenclatura, della tecnologia di produzione o della comunicazione, come qualità delle cose o come categoria psicologica, il colore – per come convincentemente lo racconta Falcinelli – emerge sempre all’interno di un insieme, nelle maglie di convenzioni, negoziazioni e rapporti che si danno in un tempo e in uno spazio precisi. Tanto sono importanti
anche politicamente il tempo e lo spazio concreti in cui i colori vengono guardati e condivisi, che nel libro le parole Storia e Paese si trovano sempre scritte in maiuscolo.
E dunque, anche noi che leggiamo ci troviamo coinvolti a ripescare ricordi di esperienze cromatiche, a provare i giochi percettivi suggeriti, a ragionare sul tanto che non sappiamo dei colori, a seguire collegamenti e a tracciarne altri.
È un invito che si raccoglie molto volentieri, poiché Falcinelli – che mescola con ammirevole equilibrio le sue competenze professionali di visual designer e un’attenzione warburghiana ai dettagli del mondo figurativo bi e tridimensionale – offre generosi spunti partecipativi di riflessione.
Il primo è l’ingresso in pasticceria, con la descrizione della pastarella detta diplomatico: in un piccolo capolavoro sinestetico (uno fra i tanti disseminati in questo testo che capta con le parole effetti luminosi, psichici, materici), l’autore spiega la differenza fra la tinta unita e il colore cangiante, confrontando appunto la complessa varietà strutturale del diplomatico e il sapore omogeneo della Nutella. In questi giorni, la descrizione della pastarella si può trovare rilanciata sui social network in contesti molto diversi, a riprova che quello di Falcinelli è un approccio proficuo alla complessa stratigrafia del presente.
Capita così che, procedendo nella lettura del volume, suddiviso in quattro parti (Sguardi, Storie, Artefatti, Percezioni) e in 24 capitoli, si affaccino alla mente collegamenti a catena, per esempio, può venire da chiedersi: ci sarà la scena del Diavolo veste Prada, dove Meryl Streep fa l’apologo del golfino ceruleo dell’assistente Anne Hathaway? c’è, si trova a pagina 294, nel capitolo Beige coloniale, che tratta di gusti, marketing, comportamenti, previsioni di mode.
E mentre si comincia a leggere la storia dello “sdoganamento” di colori come il verde salvia e il viola, viene la curiosità: ci sarà la sarcastica e irresistibile Violet Crawley di Downton Abbey? ed eccola lì, addobbata di viola dalla testa in giù, nell’immagine 257, fra scatole di tè e biscotti british.
La lettura può riportare alla mente episodi personali, lontani nel tempo e mai più rivisitati: a me è capitato di ricordare la domanda di un professore delle superiori, che chiese a noi studentesse di spiegargli una frase (per lui incomprensibile) della moglie riguardo ai vestiti di tinta “neutra”: in Cromorama, potrebbe trovare non una, ma tutta una serie di risposte sul concetto di neutro, armonia, convenzione, mimetismo, uniformità.
Ha scritto Stefano Bartezzaghi a proposito di questo libro che i titoli dei capitoli – che riportano il nome di un colore e un aggettivo inconsueto – sono un “probabile omaggio criptico ad Andrea Pazienza e alle sue storie di Zanardi Giallo scolastico e Verde matematico”.
Blu Bovary, Marrone neuronale, Malva modernità ecc., con i loro sottotitoli (rispettivamente Vestirsi per amare e significare, Come il cervello costruisce il colore, La nascita del consumo e del divismo ecc.) sono di fatto calamite di collegamenti e porte di accesso ai contenuti: ne scandiscono l’articolazione all’interno delle quattro parti principali, senza imporre un ordine cronologico, né una classificazione normativa.
In ciascun capitolo si rifrangono riflessioni che attingono dalla storia, dalla tecnica, dalla fisiologia, dalla fisica e dalla chimica, dalla letteratura, dall’editoria, e naturalmente dalle arti, pittura, grafica, decorazione, cinema, fotografia, fumetto, design.
Parte integrante dei capitoli sono le tavole delle immagini, che Falcinelli spiega nella Nota iconografica, quella stampata sulla pagina gialla citata all’inizio.
Quest’apparato figurativo che scorre “parallelo” al testo chiama ritmicamente il lettore ad applicare l’analisi proposta dall’autore, usando il proprio sguardo come verificatore in tempo reale. Su una struttura a griglia, vediamo montate non già immagini intere e isolate, ma “dettagli, sezioni o brandelli” di dipinti, di procedure tecniche, di attori e attrici, di vignette, di pubblicità, di oggetti, senza didascalie che interrompano il percorso del nostro sguardo (i riferimenti iconografici sono infatti in appendice).
Nelle tavole campeggiano invece le tracce visibili di un ragionamento sul colore che ci include – qui e ora – suggerendo “assonanze, antifrasi e possibili legami fra mondi diversi”, che possiamo a nostra volta accettare, arricchire, anche spostare e ricombinare mentalmente.
Senza procedere su una linea manualistica del tempo, ma mettendo in luce degli snodi epocali – dalle invenzioni tipografiche a quella dei colori in tubetto, dalla libertà di abbigliamento alla costruzione dei passages commerciali, dal cinema in Technicolor ai viaggi nello spazio – che si sono riverberati sul modo di produrre, applicare, desiderare i colori, il libro di Falcinelli racconta anche una storia dell’arte e degli artisti; dei loro saperi tecnici, delle visioni, delle contaminazioni con altri campi figurativi. Andrea Del Sarto, Leonardo, Tiziano, Rosalba Carriera, Tiepolo, Fragonard, Monet, Berthe Morisot, Gauguin, Klimt, Mondrian, Hopper (e sono solo alcuni), arrivano ognuno al momento giusto, chiamati a testimoniare – con il loro modo di stendere il colore – un aspetto saliente della sua natura e delle sue potenzialità.
Così come le opere dei disegnatori contemporanei – da Igort a Gipi a Simone Rea, a Shout – sono oggetto di analisi che costringono a guardare con altri occhi le loro tavole, dove le stesure del colore portano nella logica della stampa antiche competenze pittoriche e il colore s’incarna nella struttura narrativa. Cromorama è anche un impegnativo andirivieni su concetti polarizzati che tornano a intervalli nella trattazione: chiaro e scuro, luce e ombre, tinta unita e velature, densità e trasparenza, uniforme e disomogeneo, superficie e profondità, manualità e riproduzione, percezione e cosa, realtà e rappresentazione. Nel loro riaffacciarsi, intersecano in modo dinamico e critico il piano tecnico e quello scientifico, la dimensione filosofica e la vita di tutti i giorni, sia quella attuale sia quella del passato, che dobbiamo sforzarci di immaginare.
Svolgendo il filo dei nessi, come Falcinelli invita a fare, vorrei concludere con un ricordo della figlia di Alighiero Boetti, Agata. Nel suo recente libro Il gioco dell’arte, con mio padre Alighiero (Electa 2016) racconta di come il padre non parlasse mai del verde, ma del verde bandiera o del verde bottiglia, del rosso Coca-Cola o del rosso Marlboro, e naturalmente del rosso Guzzi e Gilera, confrontati col rosso delle buche delle lettere, e dell’incessante mutamento dei fenomeni cromatici in luoghi e tempi diversi.
Potrebbe essere un altro tassello di un’altra tavola di Cromorama, insieme all’opera di Emilio Isgrò, una cancellatura in rosso intitolata Rosso Pagliarani, in onore del poeta.
Quante assonanze, e quante screziate e cangianti tracce di consapevolezza della natura dei colori.
Riccardo Falcinelli
Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo, Einaudi, 2017
Antonella Sbrilli
(l’articolo è stato pubblicato anche su “alfabeta2” il 22 aprile 2018)