Interfacce e trasferelli. Le app Art Selfie e Art Transfer di Google Arts&Culture

Approfittando del fine settimana abbiamo giocato con due app presenti sul sito di Google Arts&Culture: Art Selfie e Art Transfer. Ve le raccontiamo mettendole a confronto e con qualche considerazione.

Partiamo con Art Selfie. Aprendo la app dal cellulare e scattandosi un selfie si attiva un riconoscimento visivo (i puntini che vedete appena scattata la foto) e sulla base di alcune caratteristiche (inquadratura, posa, linee e colore dei capelli, espressione del viso, direzione dello sguardo, ecc.) la app associa al vostro selfie l’immagine del database Google di ritratti e autoritratti dipinti più simile a quelle caratteristiche.

I risultati appaiono come in una galleria. Ci siamo trovati ‘apparentati’ per esempio a un giovane marinaio della Royal Navy in procinto di partire su una nave; un ritratto commemorativo realizzato ad acquerello a fine Settecento o inizio Ottocento dal pittore gallese John Downman, oggi conservato al Metropolitan Museum di New York. Ci accomuna l’inquadratura, la posa di tre quarti, lo sfondo quasi neutro, lo sguardo rivolto in direzione di chi osserva, l’incarnato chiaro, l’acconciatura con la frangia e ciuffi qua e là. La app si autovaluta e calcola che ci sono il 48% di elementi in comune.

Art Selfie sfrutta le tecnologie di riconoscimento facciale e le applica ai volti dipinti presenti in collezioni museali sulla piattaforma Google Arts&Culture. Abbinati poi alla vostra mappa facciale, ne uscirà una sorta di ‘6 gradi di separazione‘, già sperimentato festival Ars Electronica di Linz (2017) quando Google ha presentato il progetto X degrees of separation. Gli algoritmi sono capaci di leggere le superfici e categorizzare ciò che ‘vedono’, come i volti appunto, funzioni molto utilizzate per la realtà virtuale, per gli avatar dei videogiochi, per interfacciarsi (il termine è appropriato) con il vostro smartphone o computer.

Una mappatura dei selfie è stata realizzata dal progetto Selfiecity di Lev Manovic. Analizzando migliaia di selfie postati su Instagram il programma li filtra per caratteristiche quali l’espressione seria o sorridente, il portare o meno gli occhiali, il guardare in camera o no, e li raggruppa per localizzazione geografica e la divisione per genere e fasce di età. Un esperimento di analisi di big data dei social network che ha risvolti interessanti da diversi punti di vista, per esempio sociale e urbanistico: dove ci si ritrae più felici? quanti anni ha il popolo dei selfie di San Paolo e Bangkok? Quale categoria si ritrae più frequentemene in città?

La app Art Transfer funziona invece come un filtro fotografico di quelli diffusi su Instagram e sulle app per l’editing di foto. Scattato un selfie con il cellulare, o caricata una foto dal proprio album, l’algoritmo vi propone una galleria di ‘transfer’ possibili, ovvero di stili da applicare alla vostra foto: c’è il Pop di Andy Warhol, il Rinascimento di Leonardo, la versione materica e dinamica di Van Gogh, l’elegante disegno antico rubensiano, i segni netti e plastici di Frida Kahlo, l’effetto antico Egitto del Fayyum, anche la versione pattern di William Morris; e ancora Munch, il Giapponismo, l’astrattismo, il linearismo dei vasi Cinesi.

Tra le due, Art Selfie ci sembra più riuscita. Le possibilità di abbinamento, di apparentamento, sono moltissime e basta cambiare posa per sparigliare l’album e ricominciare. App Transfer a confronto funziona meglio se c’è una qualche ‘simpatia’ tra il soggetto in foto e lo stile selezionato.

Abbiamo provato con un selfie con nipotina al ristorante. Sfruttando la distribuzione e la direzione delle linee, i campi di colore e la loro intensità, gli stili (filtri) modificano l’immagine. Tra le opzioni, risultano solo sovrapposti alla fotografia Rubens, Monet, Van Gogh, Frida Kahlo. Il ‘transfer’ ha funzionato meglio con autori che ‘smontano’ di più le immagini, come Okuda, Yayoi Kusama, Lichtenstein, la Taeuber-Arp, e molto bene con artisti come Chagall e Haring.

   

Una pianta di azalee è invece veramente reinterpretata ‘alla maniera di’ con il filtro Munch, Lichtenstein, ancora Haring. Gli impressionisti Monet, Cézanne, e anche Van Gogh e Signac danno i risultati più deboli, come se quella cifra pittorica non fosse trasferibile al di fuori dell’opera originale.

Forse dipende dalla fase di sviluppo del software, ma la riuscita o meno degli abbinamenti già porta la nostra attenzione su aspetti dello stile di un artista che emergono chiaramente quando trasposti fuori dalle opere note.

Entrambe le app hanno infatti risvolti didattici, un esercizio di lettura delle opere, come quando in classe si chiede: “come avrebbe dipinto Gauguin il vaso di girasoli di Van Gogh?” per portare l’attenzione alle differenze e similitudini dei due artisti; oppure “da quale artista vorresti farti fare un ritratto?”.

La parola transfer, poi, al di là delle implicazioni freudiane, rimanda alla grafica e all’editoria, ovvero al procedimento della decalcomania, divenuta popolare (e industriale) con i mitici trasferelli con cui i bambini e i ragazzi degli anni Settanta e Ottanta hanno giocato. Per chi non avesse idea di cosa sono, ecco qui una introduzione.