Gli accordi stretti da alcuni anni da Google con musei pubblici, grandi gallerie e collezioni di varia entità hanno permesso il riversamento on line di imponenti raccolte di documenti e di immagini, esplorabili anche spazialmente nei loro contesti e interrogabili attraverso diverse chiavi di indagine. Attualmente (2018), la piattaforma Google Arts & Culture consente di accedere a decine di migliaia di immagini in alta risoluzione di opere d’arte conservate in musei, gallerie, siti monumentali, che aderiscono al progetto.
Chi usa la risorsa Google Arts & Culture, sa che l’offerta è ampia, varia e crescente: il menù sulla sinistra introduce all’esplorazione per collezioni, temi, artisti e movimenti, mezzi espressivi, eventi e personaggi storici, luoghi. Attivando un proprio profilo, è possibile allestire collezioni personalizzate, condividerle e proporre iniziative. Fra le tante possibilità di collaborazione e innovazione, il progetto Google Arts & Culture ha avviato anche delle sezioni sperimentali, per esempio X Degrees of Separation in cui l’utente può chiedere all’algoritmo di mettere in sequenza – secondo parametri di somiglianza visiva e formale – due opere d’arte scelte a caso. Le risposte offrono spunti interessanti di riflessione sulle “parentele” fra le immagini, oltre ad essere forme di addestramento dal basso dei sistemi informatici. La Curator Table, sviluppata da Cyril Diagne e Simon Doury utilizza criteri e tecniche di machine learning per insegnare alla macchina a navigare in enormi database di immagini, per mezzo di tipologie formali, iconografiche, cromatiche, consentendo ricerche sull’evoluzione nel tempo di soggetti e rappresentazioni.
Prima di chiamarsi Google Arts & Culture, il progetto aveva come titolo proprio Google Art Project: era l’inizio del 2011 quando l’azienda lanciò con ampia risonanza (qui una recensione su Engramma) questa nuova risorsa che consentiva di compiere on line visite virtuali ad allora 17 musei europei e americani (che già l’anno dopo erano diventati più di 150) e di esplorare alcuni capolavori in essi conservati, coniugando l’altissima risoluzione delle immagini (7 gigapixel) con la possibilità di muoversi nelle sale grazie all’utilizzo della tecnologia Street View (in uso dal 2007), applicata in interno.
La funzione Create an Artwork Collection permetteva inoltre ai visitatori, previa registrazione a Google, di allestire e condividere una propria selezione di opere, scegliendo fra quelle presenti.
L’operazione fu un successo, con grandi numeri di collezioni create dal pubblico e un effetto valanga di affezione al motore di ricerca e agli strumenti -legati alla cultura – che rilasciava in quegli anni, come Google Books e Google Scholar.
Da un punto di vista dell’utilizzo didattico, Google Art Project metteva a disposizione, in modo agile e con un’interfaccia facilmente usabile, l’unità opera-museo, contenuto-contenitore, permettendo sia di avvicinarsi alla superficie delle opere per coglierne i particolari tecnici e materici, sia di muoversi nello spazio delle sale e dell’edificio in cui si trovano.
Una risorsa formidabile, che aumenta la capacità di ricordare e di connettere, ma anche di immaginare e progettare una visita reale ai luoghi e alle opere viste sullo schermo.