Qualche esempio in ordine sparso e “a campione” di buone pratiche che inglobano il digitale in diverse situazioni di ricerca, apprendimento, diffusione della storia dell’arte:
Un sito fondativo: risale agli anni Novanta e mantiene la forza di un modello Victorianweb di George Landow, un pioniere nell’applicazione dei nuovi strumenti alla letteratura e alla storia dell’arte nonché autore di Hypertext (1992), seguito nel 1997 e 2006, da Hypertext 2.0 e Hypertext 3.0. victorianweb.org è una raccolta di risorse multidisciplinari sulla cultura dell’età vittoriana, con una limpida struttura ipertestuale e alti coefficienti di usabilità, distribuzione e reticolarità internazionale.
Un museo: passando a un museo dove la tecnologia è integrata in modo fluido e continuo, il Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum di New York, riaperto nel 2015, presenta l’intera collezione digitalizzata e la possibilità per il visitatore di esplorarla su tavoli touchscreen attraverso anche il disegno libero di forme e oggetti, oltre a poter memorizzare le schede delle opere di interesse su una penna digitale fornita dal museo stesso.
Una app: La vita delle opere, “un progetto per raccontare la storia delle opere, della loro vita secolare di restauri, spostamenti, vendite, furti, esposizioni, interpretazioni, copie” ha prodotto una app per una serie di musei, fra cui le Gallerie dell’Accademia di Venezia, che consente di risalire alla storia conservativa dei capolavori che si incontrano nel museo. Documenti di proprietà, indagini diagnostiche, fotografie storiche, sono messe a disposizione di chi voglia – davanti a un dipinto o a una scultura – conoscere i suoi spostamenti nel tempo e nello spazio. Accurate ricerche sono trasmesse così agli utenti attraverso dispositivi mobili, in una collaborazione notevole fra affondi specialistici, regia dei contenuti, interfaccia.
Un tour virtuale: quello della Fondazione Bonotto che guida negli ambienti dell’azienda tessile dove le opere della collezione – principalmente di artisti Fluxus – sono visibili nella loro collocazione, mentre una voce racconta il contesto spaziale e i modi in cui le opere sono pervenute.
Una rivista: Engramma. La tradizione classica nella memoria occidentale, dal 2000 pubblica mensilmente contributi interdisciplinari sul vasto tema del suo titolo, che includono punti di vista della storia dell’arte, dell’archeologia, della filologia classica, della storia e della pratica dell’architettura, del teatro, del cinema.
Sua caratteristica è la riflessione sul metodo di Aby Warburg, improntato al superamento della linearità della pagina scritta, per rendere visibili e attivi i collegamenti, i corto-circuiti, le permanenze e le trasformazioni delle immagini. Sulla scorta di queste ricerche, Engramma sperimenta forme editoriali che – includendo novità linguistiche portate dal digitale – producano hub di conoscenze validate e ampliabili.
Un videogioco: Father & Son, gioco narrativo in soggettiva molto curato graficamente e sviluppato da TuoMuseo per il MANN di Napoli, in cui il giocatore, interagendo con opere e protagonisti del museo, ricostruisce storie di persone e di manufatti nel tempo (vedi in Art-usi il post dedicato).
Un wiki: Monoskop è una risorsa wiki, un blog e un aggregatore per studi collaborativi sull’arte e i media ideato da Dušan Barok. Focalizzato all’inizio sulle ricerche artistiche dell’Europa centrale e orientale, offre accesso a risorse rare e dedica una sezione all’estetica post-digitale.
Fra i profili social museali: gli account Twitter e Instagram e la pagina Facebook della “Barberini Corsini” di Roma (Palazzo Barberini e Galleria Corsini) esplorano metodologicamente l’impatto di ciascun canale sui diversi pubblici; così come emerge la strategia comunicativa della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
A presto per un’altra selezione di best practices…